Sono lieto di ospitare tra le pagine del mio blog, Rita Carla Francesca Monticelli, un'autrice molto apprezzata sia dal pubblico Italiano che straniero.
Autrice di serie di successo come il "Ciclo dell'Aurora" (Fantascienza) e la "Trilogia del detective Eric Shaw" (Crime Thriller).
Carla, oltre a essere una scrittrice di cui dovete assolutamente leggere i libri (io sono al momento alle prese con la serie fantascientifica del Ciclo dell'Aurora, che vi consiglio caldamente), rappresenta anche un esempio di self publishing serio e altamente professionale. Sicuramente un modello a cui ispirarsi per tutti quegli autori e autrici che anche in Italia intendono perseguire la strada del self publishing.
Questa intervista è avvenuta tramite video chiamata su Skype, il 5 Marzo 2019, perciò quella che segue è la trascrizione dal file audio. Nonostante sia abbastanza lunga, sono convinto che possiate trovarla interessante e divertente, perciò ho deciso di pubblicarla in maniera integrale.
Buona lettura!
Catalogo di Rita Carla Francesca Monticelli.
DESERTO ROSSO (2012-2013)
(serie di fantascienza hard / techno-thriller - Ciclo dell'Aurora vol. 1)- Libro 1: PUNTO DI NON RITORNO
- Libro 2: ABITANTI DI MARTE
- Libro 3: NEMICO INVISIBILE
- Libro 4: RITORNO A CASA
CICLO DELL'AURORA (2013-2020)
(ciclo di fantascienza hard / techno-thriller / cyberpunk / space opera)- Libro 1: DESERTO ROSSO (raccolta 4 libri, 2013)
- Libro 2: L'ISOLA DI GAIA (2014)
- Libro 3: OPHIR. CODICE VIVENTE (2016)
- Libro 4: SIRIUS. IN CADUTA LIBERA (2018)
TRILOGIA DEL DETECTIVE ERIC SHAW (2014-2017)
(serie di crime thriller)- Libro 1: IL MENTORE (2014)
- Libro 2: SINDROME (2016)
- Libro 3: OLTRE IL LIMITE (2017)
AFFINITÀ D'INTENTI (2015)
(action thriller, autoconclusivo)PER CASO (2015)
(thriller fantascientifico / space opera / avventura, autoconclusivo)Qui trovi tutte le informazioni riguardo le pubblicazioni di Rita Carla Francesca Monticelli: www.anakina.net/pubblicazioni.html
Intervista del 05 Marzo 2019 (trascrizione da chiamata Skype)
1) Cosa ti ha spinto a intraprendere il tuo percorso di scrittrice? È stato difficile agli inizi?
A me è sempre piaciuto inventare storie. È qualcosa che ho fatto fin da ragazzina. Dare vita alle idee come fossero dei veri e propri film ideati da me, per così dire. La scrittura per me è stata l’unico sistema a mia disposizione per riuscire a fissare e concretizzare queste idee, evitando che si perdessero e che non fossero solo qualcosa di vano e passeggero nella mia mente.
All’inizio, da appassionata di cinema, scrivevo sceneggiature. Ne ho scritto tre. A quel tempo mi piaceva raccontare storie facendo prevalentemente uso delle immagini. Infatti, devo dire di aver iniziato a scrivere prosa solo più tardi, da adulta, da grande (non che prima fossi piccola). Sono passata così dalle sceneggiature alle “fan fiction”, mantenendo quindi sempre questo legame con la mia passione per il cinema.
Ho iniziato a scrivere una storia completamente originale, ideata da me, in maniera seria, appena dieci anni fa. È stato quando ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, “L’isola di Gaia”, che ho pubblicato come settimo. In quel momento non sapevo nemmeno cosa volessi farne. L’idea di pubblicarlo esisteva, ma dal punto di vista pratico ancora non ero formata. Tuttavia, decisi di andare avanti in questo genere di esperienza e lo feci guardandomi intorno e informandomi riguardo alla realtà editoriale esistente in quel periodo. Dato che scrivevo fantascienza, mi resi conto fin da subito come (dieci anni fa come adesso) questo fosse un genere poco presente nelle librerie e che perciò non vendeva tantissimo. Capii di aver scelto un genere abbastanza difficile. Feci tutte le mie ricerche su Internet, controllai quanti e quali editori pubblicavano fantascienza e constatai quanto fossero davvero pochini.
Quale strada avrei dovuto intraprendere per il mio romanzo? Pensai anche al Premio Urania, ma il mio romanzo era il doppio del limite consentito, e questo costituiva un problema. Non poteva nemmeno essere preso in considerazione.
Perciò, visto e considerato che non sembrava un genere in cui fosse così immediato riuscire a pubblicare, ho iniziato a informarmi riguardo altri metodi per arrivare alla pubblicazione.
A quei tempi esisteva solo il “print on demand”. Lulu era il primo esempio arrivato in Italia che permetteva di pubblicare i cartacei in modo indipendente. Dieci anni fa non si parlava ancora granché di ebook in Italia, perché i dispositivi non erano ancora disponibili. Esistevano in America, ma in Italia se ne discuteva ancora come qualcosa di distante dal nostro mercato di riferimento.
Tutto questo fino a quando, a fine 2011, Amazon è approdato in Italia con il suo Kindle Direct Publishing. E ciò è accaduto proprio quando stavo terminando di scrivere il mio libro. Diciamo che questa è stata una positiva coincidenza, una casualità dotata di un certo tempismo rispetto alla mia esigenza di pubblicare. L’idea mi piacque e trovai interessante l’arrivo di KDP in Italia, così decisi di provare a utilizzarlo. Chiaramente non avevo un ebook e dovetti perciò imparare a realizzarlo.
Tuttavia, decisi di non pubblicare quel libro. Lo lasciai da parte e mi misi a scriverne un altro. Avevo intenzione di pubblicare qualcosa di più breve, qualcosa che avrei potuto maneggiare e visionare in tempi più agili, in modo da rendere più semplice per me l’esplorazione di questo nuovo percorso.
E fu così che iniziai a scrivere un primo libro appartenente alla serie “Deserto rosso”, che secondo le mie intenzioni doveva essere un racconto. Solo in un secondo tempo mi sono resa conto che stava venendo più lungo del previsto, così pensai di farne una novella. Una volta terminato, realizzai di essere solo all’inizio. La storia narrata era solo nella fase iniziale, così decisi di scrivere altre novelle. Solo che ogni libro della serie diventava più lungo del precedente. Il secondo è diventato così un romanzo e il terzo un romanzo ancora più lungo. Il quarto? Praticamente epico. La cosa mi è un po’ sfuggita di mano (risate).
È stato difficile iniziare? No, perché in realtà ho scritto il primo libro di “Deserto rosso” (“Punto di non ritorno”), che è una novella di appena 20 000 parole, nel giro di tre settimane. Un tempo abbastanza breve. Dovevo essere particolarmente ispirata. Anche se io in realtà oggi non credo nel concetto di ispirazione, diciamo che avevo una chiara idea in testa e perciò mi è venuto estremamente spontaneo svilupparla e pubblicarla. Nei mesi successivi ho lavorato per migliorare tale idea, per revisionarla e trasformarla in un vero e proprio prodotto editoriale, che poi ho pubblicato a giugno dello stesso anno.
Devo dire che, quando ho pubblicato quella prima novella, non avevo grandi aspettative. L’idea era solo quella di provare un po’ a vedere come potesse andare. Poi, tra una cosa e l’altra, inizia a scrivere a blog e riviste online che trattavano di fantascienza in Italia (erano poche, purtroppo) con l’idea di ottenere un po’ di visibilità. Presi un po’ spunto da quanto avevo letto nei vari blog del mercato anglosassone, dove il fenomeno era (ed è) più avanzato. Oggi posso affermare che è andata abbastanza bene, quasi da subito. In parte perché il mio libro per qualche motivo, che poi è anche abbastanza intuibile, entrò da subito nei favori degli algoritmi di Amazon. Il motivo intuibile è che a quell’epoca c’era poca fantascienza a disposizione per i lettori in lingua italiana. Su Amazon, che iniziava in quel momento a creare il suo mercato di ebook, esisteva una sorta di spazio libero da colmare. Così il mio libro ha destato una certa curiosità e ha attirato la giusta attenzione. In pratica, offriva una risposta a tutti quei lettori di ebook alla ricerca di fantascienza.
Era un mercato nuovo in Italia e io ero come una pioniera, c’erano pochi libri a disposizione, perciò era anche facile farsi notare. Il libro ha iniziato a vendere bene, in maniera spontanea, nel giro di poche settimane. Poi ha avuto un’impennata nel momento in cui mi è stato dato uno spazio sul podcast FantascientifiCast (uno dei siti cui avevo scritto). Quelli di FantascentifiCast rimasero incuriositi dal mio lavoro. Avevo scritto una email a uno dei fondatori, Omar Serafini (che oggi è un mio grande amico), il quale rispose dicendomi di aver già letto il libro (io volevo regalarglielo, pensa un po’). Così mi propose un’intervista sul podcast. Fu così che parlarono del mio libro, prima in una puntata a luglio di quell’anno, e di nuovo qualche settimana dopo quando mi intervistarono. E ciò fece sì che le vendite del libro aumentassero notevolmente. Stiamo parlando di un ebook che costava 89 centesimi (all’epoca erano quelli i prezzi). Il libro saliva in classifica. Arrivò fino alla top 100. Pensa che all’epoca bastavano 7 copie vendute per entrarci. Però, chiaramente, questo generò un interesse verso la pubblicazione e tante recensioni assolutamente spontanee. Oggi questo libro ha una settantina di recensioni... tieni conto che all’epoca era difficile ottenerle.
Si è venuto a generare quindi un certo interesse anche grazie all’utilizzo della mia pagina su Facebook, che avevo appositamente creato. All’epoca Facebook consentiva ancora di poter interagire in modo organico con il proprio pubblico. In pratica, si venne a creare un sistema per cui i lettori si incuriosivano riguardo al libro, lo leggevano, ed erano intenzionati a saperne di più sul seguito, sugli sviluppi delle trame ecc. e in questo modo interagivano e partecipavano attivamente.
Così ho pubblicato ognuno dei successivi libri, ciascuno a distanza di cinque mesi dal precedente. Cinque mesi in cui scrivevo i libri e mi occupavo di tenere i lettori informati, principalmente con Facebook, ma anche con la mailing list, riguardo al progresso nel processo di scrittura. Lanciavo anche sondaggi sui personaggi, condividevo articoli, curiosità riguardo i romanzi, e via dicendo. Tutto molto carino e interessante, dato che all’epoca gli algoritmi di Facebook ancora lo permettevano. In questo modo, ogni nuovo libro usciva ed era così in grado di raggiungere subito la top 100. Anche con molte più di 7 copie (risate). In quel periodo non era strano riuscire a vendere un centinaio di copie al giorno. È stato un periodo assai positivo, diciamo che mi è andata molto bene. È stato possibile grazie a una sorta di tempismo, una certa frequenza nelle pubblicazioni (aspetto molto importante) e un po’ di fortuna (quella serve sempre) nel trovare gli interlocutori giusti. Insomma, potrei parlarne così per ore... (risate).
2) Da dove nasce la tua passione per la Sci-fi e il thriller?
Per quanto riguarda la fantascienza, già da piccola. Forse il primo film di fantascienza che ho visto è stato ET, anzi quasi sicuramente. E poi si dà il caso che ho una predisposizione quasi genetica per le tematiche scientifiche. È il mio modo di pensare. Quindi - se non sbaglio - ET è stato il primo film che io abbia mai visto al cinema, dopodiché ho iniziato a vedere le serie TV dell’epoca, come Visitors, che adoro. E poi mi sono appassionata a Guerre Stellari, e ci tengo a dirlo in Italiano, perché per noi all’epoca la Trilogia era “Guerre Stellari”. Star Wars è arrivato dopo (risate). Pur non avendoli visti al cinema, perché ero troppo piccola, ho potuto comunque guardarli in TV. Visti e rivisti in televisione fino al 1997, anno in cui finalmente ho avuto modo di vederli tutti e tre sul grande schermo, in occasione del ventennale. Così la mia passione per la fantascienza nasce da questo: un po’ sono stata esposta da influenze culturali, e poi sicuramente c’è una certa predisposizione. È comunque difficile definire la passione verso le cose che ci piacciono...
Per quanto riguarda il thriller, be’, io leggo romanzi da quando studiavo alle scuole elementari. In generale devo ringraziare i miei genitori, che mi hanno messo in mano dei libri già da quando ero piccola.
Il primo libro che io abbia mai letto è stato “Piccole donne”, un classico, poi col passare del tempo ho iniziato a leggere di tutto. Sono passata dagli “Harmony”... Lo dico senza vergogna, perché è normale a una certa età. I primi libri veramente seri che ho letto sono stati quelli di genere thriller. Che poi, se si esclude il genere rosa, il thriller è uno dei generi più letti in assoluto in tutto il mondo. Così ho finito con l’appassionarmi a questo filone. Pensa che una delle mie autrici preferite è stata già dall’epoca (così come lo è tuttora) Patricia Cornwell. Il mio autore preferito del genere però era ed è Thomas Harris (autore del “Silenzio degli innocenti”). Questo fa capire quali siano le mie tendenze a livello di gusti letterari, già dall’epoca (risate). Stiamo parlando della metà degli anni 90, tra adolescenza e inizio fase adulta. Quindi, in definitiva, accade che ti piacciono determinati argomenti e poi diventa normale che provi a scrivere qualcosa di tuo, influenzata dagli stessi generi che ti piace leggere.
Fantascienza e thriller sono dei filoni che si influenzano tra loro. Dato che, in effetti, i miei romanzi di fantascienza sono essi stessi dei thriller. C’è sempre un dramma da thriller, la suspense, e poi, nel caso della sci-fi, c’è chiaramente un’ambientazione che spesso è nel futuro, o in astronavi, basi orbitali ecc. Altre volte l’ambientazione è nel presente, ma in ogni caso non ci posso fare niente. Qualsiasi cosa scriva, finisco sempre per ammazzare qualcuno (risate). In definitiva, è normale voler scrivere pensando alle stesse storie che si ama leggere.
3) Spesso si sente dire che il pubblico femminile non ami la fantascienza e per tanto predilige altri generi letterari. Ammesso che sia vero, quale credi possa essere il motivo? E quali potrebbero essere gli ingredienti per avvicinare il pubblico femminile alla fantascienza?
È un rapporto un po’ difficile. Credo che alla base ci sia un pregiudizio, innanzi tutto dovuto a motivi culturali. È un po’ difficile per me analizzare questo aspetto, perché nel mio caso, io sono proprio una donna che la fantascienza la ama, e ho trovato sempre strane le altre ragazzine che non provavano il mio stesso tipo di interesse. Cioè, solo più avanti col tempo, mi sono accorta che si trattava di un fenomeno realmente esistente. All’inizio mi dicevo “boh, strano, a me piace...”. Non ci facevo più di tanto caso. Nel mio mondo, nel mio modo di pensare, la fantascienza non aveva differenze di genere.
Poi, chiaramente, col passare del tempo, soprattutto grazie all’esperienza di scrivere proprio fantascienza, mi sono resa conto che spesso esiste una posizione preconcetta da parte di molte donne. Capita spesso di sentire affermazioni come “a me la fantascienza non piace”, poi chiedi “ma l’hai mai letto un libro di fantascienza?” e la risposta è spesso negativa. Ma allora come fai a dire che non ti piace?
Si tratta di un pregiudizio che probabilmente tende ad associare la fantascienza a qualcosa di molto maschile. Forse anche questo può essere un problema, il fatto che venga vista come roba esclusivamente da uomini. E questo fatto di dover per forza distinguere le “cose” da uomini e da donne è un pregiudizio culturale. Ci educano così, e finché l’educazione è questa, sarà difficile superare questo genere di idee. Poi, potrebbe esistere anche un certo tipo di avversione nei confronti dell’aspetto tecnologico. Che poi in pratica è lo stesso tipo di atteggiamento che fa sì che le donne che studiano nelle facoltà di ingegneria siano sempre molto meno rispetto agli uomini. Tuttavia, questo discorso non è valido per tutti gli studi scientifici, come ad esempio in biologia. Io sono una biologa, laureata nel ‘98, durante il mio corso di laurea noi donne eravamo in tante. La biologia è uno di quei campi della scienza dove questo tipo di disparità non esiste, anzi spesso sono le donne a essere in netta maggioranza.
Credi che siano dei pregiudizi più italiani che esteri?
No, è un problema generalizzato, molto sentito anche all’estero. Leggevo articoli su blog americani, dove pare che anche loro discutano di come coinvolgere maggiormente le donne alle discipline scientifico-tecnologiche. È un problema culturale che esiste dappertutto e in un Paese come gli Stati Uniti può essere anche più accentuato. Da noi invece dipende molto dalla regione di provenienza. Io ad esempio, parlando da sarda, posso dire che in Sardegna i pregiudizi legati al sessismo sono meno forti rispetto che da altre parti; nella cultura sarda la figura femminile è sempre stata considerata in modo molto importante. Certamente sono sempre esistite a livello tradizionale delle mansioni considerate “da uomo” e “da donna”, ma in forma meno discriminatoria rispetto altri luoghi. In Sardegna c’è sempre stata una visione più paritaria. Tuttavia, questo è un problema reale e diffuso. Per questo motivo ritengo che oggi porre in evidenza figure come le donne astronauta, come ad esempio Samantha Cristoforetti per restare in Italia o le tante altre straniere, sia importante perché può aiutare a rompere quei pregiudizi che ancora tengono lontane tante ragazze dagli studi e dalle professioni scientifiche. È giusto evidenziare questo genere di modelli positivi. Resta comunque una sfida ancora difficile, proprio perché esiste questo elemento culturale, che appartiene a tante famiglie (purtroppo) e che tende a considerare ancora la scienza come qualcosa “da uomini”. Una visione che risulta oltre modo falsa, se si tiene conto delle tante studiose e ricercatrici che la storia della scienza può vantare, pensiamo in Italia alla Levi Montalcini, giusto per fare il nome più famoso.
Insomma, quando la donna si appassiona di scienza è capace di fare grandi cose, vale a dire che non è un qualcosa che ha a che fare col cervello maschile o femminile, ma si tratta di un pregiudizio culturale fine a se stesso, uno stereotipo.
Tornando al rapporto delle donne con la fantascienza, può anche capitare di incontrarne che leggono il tuo libro perché incuriosite, senza mai aver letto fantascienza prima d’ora e che poi ti dicono: “Non avevo mai letto fantascienza prima d’ora, ma il tuo libro mi è piaciuto, mi sono ricreduta, non pensavo fosse così”. Nonostante i pregiudizi culturali, oggi grazie al cinema, serie TV, fumetti, cosplay, ecc. la fantascienza raccoglie sempre più consensi anche tra il pubblico femminile. Anche se ancora capita che la donna appassionata di fantascienza possa risultare “strana” agli occhi di qualcuno. Ripeto, credo che si tratti di fattori culturali. Prendiamo, ad esempio, i romanzi rosa, che vengono intesi principalmente per donne. Sicuramente ci sono più donne che amano la fantascienza piuttosto che uomini che leggono romanzi rosa. Anche se sicuramente ci sono uomini che li leggono, ma non lo dicono (risate). Ma pensa che, anche in questo caso, io non leggo romanzi rosa. Non mi piacciono per niente.
In Italia, poi accade un fatto singolare. Quando vengono scritti romanzi dotati della possibilità di raggiungere un certo successo e che potrebbero essere inscritti a pieno titolo nel genere fantascientifico, si glissa sull’etichetta fantascienza e si inserisce “thriller” o altro, come se ci si vergognasse di tale filone letterario. Come se si avesse paura di accettare che la fantascienza sia un genere di intrattenimento. Tutti i generi lo sono, perché in fondo tutta la narrativa è intrattenimento, dato che leggiamo i libri per divertirci, imparare ecc. Il fatto che un libro possa piacere oppure no, secondo me, ha a che fare con i gusti personali e non tanto col genere letterario. Tutto il resto è solo pregiudizio.
Certo, sarebbe bello avvicinare più pubblico femminile alla fantascienza, nonostante sia problematico appunto per l’esistenza di queste forme di pregiudizi culturali.
Il cinema potrebbe aiutare in questo senso, dato che sono tanti i film con protagoniste femminili, anche se la fruizione visiva è sempre più “semplice” della letteratura, meno impegnativa, anche in termini di tempo, perciò è più facile coinvolgere le persone.
Come convincere le donne a leggere la fantascienza? O facciamo come fanno certi editori che camuffano l’appartenenza al genere fantascientifico con altre definizioni, ma noi non vogliamo farlo perché non vogliamo perdere gli altri lettori che amano il genere, oppure chissà... è un bel problema!
4) Tu sei un’autrice indipendente che nel corso degli anni è riuscita a costruire un proprio spazio e ad affermarsi in modo, appunto, indipendente. Consiglieresti questo tipo di scelta a un autore esordiente? Esistono delle particolari “skills” o caratteristiche utili per intraprendere la strada del self-publishing?
La risposta è molto semplice. Consiglio di intraprendere la strada del self-publishing se l’autore in questione è intenzionato e se ha voglia di imparare a diventare un editore. In tal caso posso consigliargli questa soluzione, perché ha maggiori possibilità di emergere ed eventualmente guadagnare qualcosina dal suo lavoro.
Se invece non dovesse avere voglia o non gli interessasse diventare un editore, allora no, il self-publishing non fa per lui. Non è una questione di non esserne capaci, perché uno si impegna e impara. In fondo non ti viene chiesto di costruire una centrale nucleare (risate). Perciò sia chiaro che si tratta di qualcosa che è tranquillamente possibile imparare, a patto di applicarsi e impegnarsi.
Essere un editore significa gestire tutta una serie di aspetti e di persone (perché non si lavora da soli) con lo scopo di trasformare il tuo manoscritto in un prodotto editoriale. Se hai voglia di imparare a fare questo genere di cose, seriamente, allora ti consiglio assolutamente la strada del self-publishing. Se invece non te la santi, se pensi di non avere le capacità adatte, oppure non hai la voglia o il tempo di applicarti per imparare, allora è meglio che ti cerchi un editore. Altrimenti, corri il rischio di pubblicare un libro che non è altro che un prodotto scadente e che ovviamente il pubblico non accoglierà bene, e in questo modo finisci col “bruciarti”, semplicemente. E soprattutto vai a rompere quello che io chiamo “il patto con il lettore”, un patto che ognuno di noi stipula dal momento in cui decide di pubblicare un libro. Tu paghi e io ti do un prodotto di qualità. Questo è il patto. Se tu rompi questo patto, pubblicando un prodotto che non è valido, allora le cose non vanno affatto bene, perché produci “trash publishing”, editoria spazzatura. Se non sei disposto a mantenere questo accordo con il lettore, è meglio non seguire la strada del self-publishing.
In definitiva, dipende molto dalla persona. Non esiste una via migliore di un’altra. Se a un autore non interessa il lato organizzativo, gestionale, promozionale, comunicativo, ecc., allora è meglio che si rivolga a un editore tradizionale, sperando che qualcuno lo pubblichi. Pur restando consapevole che la pubblicazione in sé è solo un punto di partenza. Questo deve essere chiaro a tutti: la pubblicazione è solo il primo passo.
Oppure, se uno intende imparare a essere editore di se stesso, cioè entrare nel mercato come editore dei propri libri - innanzi tutto editore, poi autore dei propri libri -, in questo caso il self-publishing è altamente consigliato.
5) È vero che stai scrivendo un libro espressamente dedicato al tema del self-publishing? Potresti darci qualche anticipazione?
Dal 2016 tengo un corso intitolato “Self-publishing nei sistemi multimediali” presso l’Università degli Studi dell’Insubria a Varese, per i corsi di laurea in Scienza della Comunicazione e per il corso Magistrale di Scienze e Tecniche della Comunicazione. È un corso di 16 ore, molto breve. Quattro lezioni da quattro ore in cui cerco di insegnare a questi giovani studenti, ventenni, che cos’è il self-publishing. Lo faccio partendo dalle basi e sviluppando i vari aspetti, dall’inizio alla fine. Cosa significa essere un self-publisher (autoeditore), come si possono pubblicare i libri e via dicendo. Il tutto racchiuso in sole 16 ore, un’operazione quasi titanica quella di racchiudere tutti gli aspetti in così poco tempo. Devo esporre una marea di informazioni facendo del mio meglio per sintetizzarle il più possibile.
Dato che ho dovuto elaborare diverso materiale per questo corso, ho pensato che fosse una buona idea quella di trasformarlo in un libro. Riportare tutte queste informazioni sotto forma di pubblicazione, in modo da renderle disponibili e fruibili a chiunque, in maniera più comoda rispetto al dover seguire un corso che, pur essendo aperto a tutti, si trova solo a Varese.
Questa del libro è anche un’idea nata in seguito ad aver constatato, in questi ultimi anni, quanto sulla materia del self-publishing si sia creata una certa disinformazione. Ciò che voglio dire è che ritengo che siano veramente poche le persone che possiedono una reale conoscenza del fenomeno in questione. Sia persone che utilizzano questo formato editoriale (e questo è ancora peggio), ma anche chi ne è estraneo eppure lavora nel mondo dell’editoria tradizionale e non ha la più pallida idea di cosa sia davvero il self-publishing (pur essendo convinto del contrario). Mi riferisco a persone che lavorano nell’editoria a livello professionale. Esiste una tendenza tesa a snobbare il self-publishing come fenomeno di secondaria importanza e questo è un errore, perché fenomeni come l’autoeditoria vanno conosciuti e studiati, dato che ormai influenzano il mercato. E questo per forza di cose va a incidere con l’universo dell’editoria tradizionale. Perciò, sarebbe bene che anche gli editori tradizionali si informassero sull’argomento. Per questo motivo, data questa diffusa disinformazione, ho anche pensato che fosse utile scrivere un libro che parlasse del self-publishing rivolgendomi a un pubblico che, in teoria, non ne sa nulla, come ad esempio gli studenti.
Ho suddiviso questo corso in una serie di parti. Una introduttiva, su cosa sia il self-publishing, che in pratica espone l’argomento legato all’essere editori dei propri libri (cioè il concetto di editore che pubblica i libri scritti da sé). Ho poi suddiviso il lavoro del self-publishing in tre parti generali: la fase in cui il self-publisher è un autore; quella dove è editore; e quella dove veste i panni dell’imprenditore.
Credo che questo genere di suddivisione sia stata fatta la prima volta da Guy Kawasaki, un guru di Silicon Valley che ha raccontato la propria esperienza professionale come self-publisher nel libro “APE: Author, Publisher, Entrepreneur”. Io mi sono un po’ rifatta a questo tipo di suddivisione, perché la ritengo utile, anche se in definitiva è più schematica che reale, dato che poi nella pratica i ruoli si sovrappongono e si incrociano continuamente.
Così ho ripartito il lavoro del self-publisher in base a questi tre ruoli (autore, editore, imprenditore), cercando di spiegare cosa fa un self-publisher quando deve agire da autore e quanto questo si differenzi dall’autore di tipo “tradizionale” (l’approccio è diverso); cosa può significare essere editori dei propri libri; e poi la parte più imprenditoriale, maggiormente legata agli aspetti della promozione. Infine, nell’ultima parte del libro viene preso in considerazione il rapporto tra l’editoria tradizionale e l’autoeditoria (self-publishing = autoeditoria, se ancora non fosse chiaro), citando anche come esempio gli autori cosiddetti “ibridi”, o alcuni autori - come ad esempio la sottoscritta - che hanno ceduto i loro diritti per alcuni libri a editori tradizionali e via dicendo. Insomma quei rapporti tra questi due mondi, che già esistono, ma che in futuro di certo continueranno a crescere e a svilupparsi ulteriormente.
Al momento, sono quasi a metà della stesura. È un lavoro bello lungo, ne verrà fuori un librone. Non ho ancora idea di quando lo pubblicherò, perché al momento sto scrivendo senza pormi una data di uscita. Spero comunque di completare la prima stesura nell’arco di un paio di mesi, poi vedremo. Mi piacerebbe finirlo a breve per averlo a disposizione durante il corso, che quest’anno dovrei tenere per la terza volta, almeno per renderlo disponibile agli studenti, e in seconda battuta poi distribuirlo per tutti.
6) Raccontaci qualcosa sul tuo ultimo libro “Sirius. In caduta libera”, cosa troveranno i tuoi fan e i nuovi lettori?
“Sirius. In caduta libera” è il quarto libro di una serie intitolata Ciclo dell’Aurora, quindi i lettori sanno già più o meno cosa aspettarsi. Ovviamente, la serie deve essere letta rispettando il corretto ordine, partendo dal primo libro. Non è possibile iniziarla da quest’ultimo quarto episodio, perché verrebbero meno le basi utili a comprendere lo sfondo narrativo. Quindi, ai nuovi lettori suggerisco di leggere prima il “Deserto rosso”, “L’isola di Gaia”, “Ophir. Codice vivente” e infine “Sirius. In caduta libera”.
Il romanzo è dotato di un proprio arco narrativo in gran parte autoconclusivo, ma solo chi conosce la backstory e certi altri elementi della serie è in grado di apprezzarlo in pieno.
Posso dire, senza incappare in problemi di spoiler, che questo libro è ambientato tra quasi un secolo. Ha la particolarità di essere il quarto libro di una serie, ma in realtà è sì il sequel del terzo, ma anche il prequel del secondo volume. Cronologicamente parlando sono tutti mescolati (risate).
Ma niente paura, perché basta semplicemente leggerli seguendo l’ordine di pubblicazione. La storia è concepita in modo tale che i singoli eventi vengono rivelati poco per volta quando servono, ma non in ordine cronologico, permettendo al lettore di metterli insieme, man mano che procede nella serie.
In ogni caso, ciascun libro include un’introduzione e al suo interno dei richiami alla trama dei libri precedenti che aiutano ulteriormente il lettore a orientarsi, dato che tra l’uscita dei singoli libri trascorrono due anni ed è normale che a qualcuno possa sfuggire qualche dettaglio.
La storia è ambientata per metà del tempo in orbita, su una stazione spaziale chiamata Sirius. “In caduta libera” è la condizione in cui si trovano gli oggetti in orbita, ma è anche una chiara metafora che fa riferimento a una situazione che sta precipitando. L’altra metà della narrazione si svolge sulla Terra, principalmente in Islanda. C’è una backstory nel romanzo “L’isola di Gaia” che fa riferimento a un evento catastrofico avvenuto in passato, in Islanda. Un’eruzione simultanea di una serie di vulcani che per mesi ha lanciato nell’atmosfera terrestre un’enorme quantità di ceneri che hanno avvolto il globo, provocando un abbassamento delle temperature. Posso tranquillamente anticipare che in questo nuovo libro, la storia si svolge proprio nella fase iniziale di queste eruzioni. Tale fenomeno verrà vissuto in parte dall’orbita e in parte sulla Terra, proprio in Islanda.
Il protagonista e voce narrante di questa storia è Hassan Qabbani, già tra i protagonisti di “Deserto rosso”, ed è lui che ci guida nella parte in orbita. Non posso dire altro, se non che è il quarto libro della serie che si intitola “Ciclo dell’Aurora”, e che l’ultimo libro uscirà l’anno prossimo e si intitolerà “Nave stellare Aurora”.
Il genere è sempre quello della fantascienza hard, con un aspetto avventuroso. Posso anche aggiungere che l’idea di fondo è nata nel 2013, ispirata dalla visione del film Gravity, in cui è presente lo scontro fra uomo e natura quando la tecnologia fallisce. Nel caso del libro, la natura è costituita dallo spazio ostile (nell’orbita) e dai vulcani (sulla Terra), in una situazione dove la tecnologia fallisce e l’uomo è costretto a sfruttare il proprio ingegno per riuscire a cavarsela. In pratica nella storia è presente in maniera costante l’argomento della sopravvivenza.
7) Le tue storie sono sempre ricche di particolari tecnologici e scientifici, diciamo nel tipico stile “hard sci-fi” o “fantascienza tecnologica”. Quanto tempo dedichi alla fase di studio e documentazione durante la stesura del manoscritto?
Gli aspetti legati alla scienza e alla tecnologia che trovano spazio nei miei libri, in genere, derivano da cose che ho letto in precedenza, o che ho avuto modo di vedere in documentari. In realtà, non eseguo proprio un’operazione di documentazione mentre scrivo.
Ci sono tematiche di mio interesse di cui leggo e mi tengo informata costantemente, al di là che stia scrivendo o meno un libro. Ad esempio, un argomento a me assai caro è quello dell’astronautica, di cui leggo parecchio facendo del mio meglio per tenermi aggiornata. La continua esposizione a determinati temi è essa stessa fonte di ispirazione per la creazione delle storie. Insomma, è un po’ il mio pane quotidiano.
In questo modo mi trovo così a inglobare in maniera quasi automatica questi argomenti nelle mie storie. Si tratta del mio modo di vivere in prima persona queste storie, che poi nella realtà appartengono a scenari a me lontani. Viverle, perché per me quando racconto una storia ho quasi l’impressione di esserci dentro. Quando lo faccio è come se nella mia mente andasse a formarsi qualcosa di simile a un ricordo, come se si trattasse di un evento già accaduto. Forse addirittura anche più vivido di uno realmente accaduto, perché ho avuto modo di elaborarlo pensandoci di continuo e studiandolo.
Poi è chiaro che durante la stesura può accadere che mi occorra qualche dettaglio da approfondire, allora in tal caso effettuo qualche ricerca su Google e così via.
Ma, dal punto di vista stilistico, cerco di inserire le parti scientifiche all’interno della storia evitando di risultare eccessivamente pesante con questo genere di contenuti. E, quando mi capita di fare riferimento a ipotetiche tecnologie future, cerco di farlo mantenendomi più sul vago, dato che molte cose tendono a cambiare nel corso del tempo. La tecnologia si evolve velocemente. Sul vago, ma in maniera sempre plausibile, evitando magari l’uso massiccio di numeri e calcoli matematici come ad esempio ha fatto Andy Weir in “The Martian”. Anche perché poi in quel caso avrebbero ragione le lettrici, come dicevamo prima, a trovare il tutto troppo pesante (risate).
In definitiva, non ho un tempo espressamente dedicato alla documentazione, ma si tratta di una costante lettura che faccio per mio interesse personale. Anzi spesso mi capita che leggo qualcosa e penso: “Ecco, questo è un elemento interessante da usare per una trama.” E in tal caso prendo nota.
8) A quali nuovi progetti stai attualmente lavorando? Cosa bolle in pentola?
Ho già parlato del libro sul self-publishing, che è quello cui sto lavorando proprio adesso. Ma sono anche alle prese, come dicevo, con la pubblicazione (l’anno prossimo) dell’ultimo libro della serie “Il Ciclo dell’Aurora”, “Nave Stellare Aurora”. Sarà strutturato in quattro parti. Per la prima parte ho ultimato la “outline” e ho appena iniziato a scrivere. Sarà un libro lungo, quello di chiusura, per questo motivo voglio scriverlo con un certo anticipo per poterci lavorare bene. L’uscita è prevista per il 30 Novembre 2020.
Inoltre, ho intenzione di lavorare anche sul fronte della lingua inglese. Voglio ripubblicare “Il mentore” in inglese, dato che ho riottenuto i diritti di traduzione da Amazon Publishing. La traduzione del primo libro è stata completata da un anno, devo lavorare sul secondo e sul terzo. Occorre trovare il tempo, perché l’idea è quella di pubblicarli l’anno prossimo, ora si tratta di stabilire come farlo.
E tutto questo già è molto. Tuttavia, mi piacerebbe - non so quando - aggiungere una piccola novella prequel alla trilogia del “Detective Shaw” (che include “Il mentore” e gli altri due libri) a scopo promozionale, in italiano e in inglese. E poi, ovviamente, esistono tutta una serie di progetti messi da parte nel mio cassettino. Ho appunti per altri dieci o dodici libri. Tutto pronto, da parte, devo solo scovare il tempo necessario per scrivere. Non corro il rischio di restare senza idee, è il tempo quello che manca. Diciamo che con tutte queste cose, per il presente può bastare, poi si vedrà (risate).
9) Grazie per la tua disponibilità per quest’intervista, Carla. Chiudiamo lasciando un messaggio aperto a tutte le persone in ascolto: qual è il modo migliore per restare aggiornati sui tuoi libri, seguire le tue attività, e contattarti?
Il modo migliore è seguire la mia pagina Facebook ( www.facebook.com/RitaCarlaFMonticelli ), se sono iscritti ovviamente, dove trovare tutto quello che sto facendo, che intendo fare e poi i vari argomenti di cui mi interesso. Il mio sito ufficiale, Anakina.net (o Anakina.it), che rappresenta il mio “hub”, da cui è possibile accedere a tutte le pagine social dove sono presente. E dove si può accedere anche al mio blog ufficiale (che volendo può essere seguito tramite il feed RSS e le notifiche push). Ho anche un canale Telegram, dove trovate solo le notizie più importanti, come eventi, date di pubblicazione dei libri e promozioni. E infine, per essere sicuri di restare informati, potreste iscrivervi alla mia mailing list, grazie alla quale potete comodamente ricevere gli aggiornamenti via email.
Perciò, basta connettersi a uno di questi siti o social per restare informati.
Lo "Spazio autori" è un luogo pensato per dare voce ad altri autori e autrici, un semplice spazio che ho deciso di allestire qui sul mio blog. Per maggiori informazioni, leggi qui.